Fotocellula
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Autore: Giuseppe Fortunato
Dispositivo che, utilizzando l’effetto fotoelettrico, è in grado di trasformare le variazioni di intensità luminosa in variazioni di intensità di corrente elettrica: viene così impiegata la luce per creare o modulare un segnale elettrico.
La f. è costituita da un tubo a vuoto o a gas in cui si trovano due elettrodi, l’anodo e il catodo, tra i quali viene mantenuta, da un generatore esterno, una differenza di potenziale. Quando il catodo viene investito da una radiazione luminosa si ha un’emissione di elettroni in numero tanto più elevato quanto più intensa è la radiazione. Poiché gli elettroni emessi vengono attratti dall’anodo, a potenziale positivo, si produce nel circuito esterno una corrente la cui intensità dipende, a parità di tensione tra gli elettrodi, dall’intensità della radiazione luminosa incidente.
L’effetto fotoelettrico utilizzato dalla f. è quello che si manifesta per la perdita di elettroni registrata dai gas o dalle superfici metalliche esposti alle radiazioni luminose.
In determinati casi l’effetto può essere una variazione della resistività, determinandosi, così, un effetto fotoelettrico interno.
L’effetto fotolettrico era stato scoperto nel 1888 da W. Hallwachs, ma fu A. Einstein che approfondì l’argomento, giungendo a una scoperta assai importante, la quantizzazione della radiazione. Quest’effetto ne offre in un certo senso la verifica sperimentale: l’energia sprigionata nella collisione fotone-elettrone si irradia per quanti, contrariamente alle previsioni della fisica classica che portava a un trasferimento continuo. Il numero di fotoelettroni emessi è proporzionale all’illuminamento del catodo e la distribuzione di energia dei fotoelettroni è indipendente dall’illuminamento. La spiegazione di tutto questo è che il minimo di energia trasferibile non è piccolo a piacere, ma corrisponde all’energia di un singolo fotone.
Quando uno degli elettroni di conduzione di un metallo viene colpito da un fotone, assorbendolo, riceve una quantità di energia che si somma all’energia cinetica dell’elettrone, permettendogli di fuoriuscire dal metallo stesso se tale energia è superiore al lavoro di estrazione dell’elettrone.
Nel caso in cui il materiale irradiato sia un semiconduttore, si verifica più facilmente il citato effetto fotoelettrico interno. In effetti in queste sostanze gli elettroni di conduzione sono presenti in numero assai inferiore che nei metalli: se un fotone colpisce un elettrone legato all’atomo la sua energia non è sufficiente a estrarlo dal materiale, ma lo può slegare dall’atomo, cioè lo può rendere disponibile per una corrente elettrica. L’effetto fotoelettrico è, quindi, la causa dell’aumento di conduttività della sostanza. In conclusione, sono svariate le applicazioni rese possibili dall’effetto fotoelettrico: oltre alla f., si hanno le fotopile, i fotodiodi, i fototransistori.
A parte la constatazione che le tecniche che hanno portato allo sviluppo della f. si identificano con gli studi che hanno rinnovato la tecnologia della comunicazione, va ricordato che senza la f. non ci sarebbe il cinema sonoro né la stessa televisione. È una f. che converte le vibrazioni della luce che passa attraverso la pista del sonoro tracciata sulla pellicola; è una speciale f. lo strumento che nella telecamera converte l’immagine in segnali elettrici.
La f. è costituita da un tubo a vuoto o a gas in cui si trovano due elettrodi, l’anodo e il catodo, tra i quali viene mantenuta, da un generatore esterno, una differenza di potenziale. Quando il catodo viene investito da una radiazione luminosa si ha un’emissione di elettroni in numero tanto più elevato quanto più intensa è la radiazione. Poiché gli elettroni emessi vengono attratti dall’anodo, a potenziale positivo, si produce nel circuito esterno una corrente la cui intensità dipende, a parità di tensione tra gli elettrodi, dall’intensità della radiazione luminosa incidente.
L’effetto fotoelettrico utilizzato dalla f. è quello che si manifesta per la perdita di elettroni registrata dai gas o dalle superfici metalliche esposti alle radiazioni luminose.
In determinati casi l’effetto può essere una variazione della resistività, determinandosi, così, un effetto fotoelettrico interno.
L’effetto fotolettrico era stato scoperto nel 1888 da W. Hallwachs, ma fu A. Einstein che approfondì l’argomento, giungendo a una scoperta assai importante, la quantizzazione della radiazione. Quest’effetto ne offre in un certo senso la verifica sperimentale: l’energia sprigionata nella collisione fotone-elettrone si irradia per quanti, contrariamente alle previsioni della fisica classica che portava a un trasferimento continuo. Il numero di fotoelettroni emessi è proporzionale all’illuminamento del catodo e la distribuzione di energia dei fotoelettroni è indipendente dall’illuminamento. La spiegazione di tutto questo è che il minimo di energia trasferibile non è piccolo a piacere, ma corrisponde all’energia di un singolo fotone.
Quando uno degli elettroni di conduzione di un metallo viene colpito da un fotone, assorbendolo, riceve una quantità di energia che si somma all’energia cinetica dell’elettrone, permettendogli di fuoriuscire dal metallo stesso se tale energia è superiore al lavoro di estrazione dell’elettrone.
Nel caso in cui il materiale irradiato sia un semiconduttore, si verifica più facilmente il citato effetto fotoelettrico interno. In effetti in queste sostanze gli elettroni di conduzione sono presenti in numero assai inferiore che nei metalli: se un fotone colpisce un elettrone legato all’atomo la sua energia non è sufficiente a estrarlo dal materiale, ma lo può slegare dall’atomo, cioè lo può rendere disponibile per una corrente elettrica. L’effetto fotoelettrico è, quindi, la causa dell’aumento di conduttività della sostanza. In conclusione, sono svariate le applicazioni rese possibili dall’effetto fotoelettrico: oltre alla f., si hanno le fotopile, i fotodiodi, i fototransistori.
A parte la constatazione che le tecniche che hanno portato allo sviluppo della f. si identificano con gli studi che hanno rinnovato la tecnologia della comunicazione, va ricordato che senza la f. non ci sarebbe il cinema sonoro né la stessa televisione. È una f. che converte le vibrazioni della luce che passa attraverso la pista del sonoro tracciata sulla pellicola; è una speciale f. lo strumento che nella telecamera converte l’immagine in segnali elettrici.
G. Fortunato
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Come citare questa voce
Fortunato Giuseppe , Fotocellula, in Franco LEVER - Pier Cesare RIVOLTELLA - Adriano ZANACCHI (edd.), La comunicazione. Dizionario di scienze e tecniche, www.lacomunicazione.it (18/11/2024).
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